Da quando si è iniziato a parlare del Coronavirus SARS-CoV2, l’OMS ha stabilito alcune regole fondamentali: distanziamento di almeno un metro, tossire o starnutire in un fazzoletto (e poi gettarlo via) o nell’incavo del gomito e lavarsi le mani. Il problema è la trasmissione per via aerea e quindi lo starnuto, il colpo di tosse, il respirare a breve distanza.
La distanza per evitare il contagio di un metro, però, è sufficiente? Vediamo di fare un po’ di chiarezza.
CONTAGIO: LA STORIA DEI DROPLET
Chiunque emetta uno starnuto alla luce del sole si può rendere conto che uno starnuto arrivi a una distanza maggiore di un metro e quindi da dove parte questa evidenza scientifica stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)? Dagli anni ’30 del secolo scorso.
Nel 1897, infatti, il batteriologo Carl Flugge mostrò che i patogeni delle vie respiratorie potevano essere trasmessi per via aerea attraverso dei “droplets” (goccioline). In pratica, questi patogeni erano contenute in delle goccioline che fuoriescono dalla persona infetta attraverso lo starnuto, la tosse o parlando.
Una teoria sviluppata poco più di trent’anni dopo da William F. Wells (1935) che studiando la trasmissione della tubercolosi distinse questi “droplets” in “Large” (grandi) e “Small” (piccoli). Per Wells i “droplet Large” sono quelli che prima di evaporare permettono maggiormente il contagio nelle persone immediatamente vicine. I “droplet Small”, invece, evaporano più velocemente. Questo per via del passaggio da una temperatura calda interna al corpo a quella più fredda e secca dell’ambiente esterno. Ciò che resta è una forma più estrema del patogeno chiamato “droplet nuclei” o “aerosol”.
Secondo Wells la dimensione (diametro) del patogeno determina il tempo di evaporazione o di caduta a terra, come da schema.
Dalla scoperta di Wells sono partiti centinaia di studi per valorizzare questa teoria che oggi è considerata valida anche se la distanza di trasmissione e la velocità variano fra i vari studi, seppur di poco. Certamente questa distinzione è condizionata da tante variabili (ambiente aperto o chiuso, virulenza, stato del soggetto, tipologia del patogeno ecc.), ecco perché si parla di “indicazioni” e non di “certezze”.
Per informazione, il Covid-19 ha un diametro fra gli 80 e i 160 nm.
LA DISTANZA DI UN METRO
Questa differenza fra “droplet” e “aerosol” o fra droplet “Large” e “Small” è tuttora considerata valida dall’OMS che ovviamente si basa anche su tanti altri studi. Ad esempio c’è quello dell’Università di Singapore che nel 2013 ha confermato che la trasmissione avverrebbe entro un metro come da questa immagine.
Nello specifico è stato fatto un esperimento che ha mostrato la velocità e la distanza a cui arriverebbero i droplet con uno starnuto e con il respiro utilizzando degli stimoli e uno specchio:
- Starnuto: viaggia a 0,6 metri e che la velocità massima dello starnuto è stata di 4 m/s (equivalenti a 16 km/h).
- Respiro nasale: arriva a 0,6 m e viaggia a 1,5 m/s (oppure 5,4 km/h)
- Respiro dalla bocca: arriva a 0,8 m e viaggia a 1,3 m/s (oppure 4,68 km/h)
Secondo questa e altre ricerche, la distanza di un metro sarebbe sufficiente per evitare il contagio.
LA TEORIA DEL “PUFF”
Negli ultimi giorni si è diffusa un’altra ricerca del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha spiegato che forse la distanza di un metro andrebbe rivista perché non si tiene conto della nuvola che si crea quando si starnutisce o si tossisce come si evince da questa immagine:
Un vero e proprio gas che sembrerebbe proteggere i droplet microsalivari dalla temperatura esterna e che fungerebbe da vettore all’esterno. In questo modo l’evaporazione sarebbe ritardata e la diffusione sarebbe più ampia. Secondo questo studio le distanze presso cui potrebbe arrivare il virus sono molto diverse:
- con il respiro: fino a 1,8 metri
- con un colpo di tosse: fino a 6 metri
- con uno starnuto: fino a 7-8 metri.
Ovvio che con queste distanze la misura del distanziamento di un metro sarebbe inutile per evitare il contagio. Non a caso se l’OMS prevede un metro, il Centers for Disease Control and Prevention prevede due metri almeno per il distanziamento. Per i ricercatori del MIT “queste distanze sono stimate su un range che non ha considerato la possibile presenza di una nuvola altamente impetuosa che potrebbe portare il droplet a lunga distanza”.
Ecco perché i ricercatori del MIT consigliano di obbligare l’uso della mascherina per proteggere la diffusione perché la distanza di un metro non sarebbe sufficiente a evitare il contagio.
QUANTO VIVE IL COVID NELL’ARIA?
Al proposito è stato realizzato uno studio per capire quanto vive il virus SARS-CoV-2 nell’aria. E’ stato realizzato dal National Institues of Health e ha analizzato la durata del virus sulle superfici e nell’aria.
Ho scritto un articolo al riguardo su quanto dura sugli oggetti e in aria, mentre qui mi limito a parlare dell’esperimento su quest’ultimo aspetto. In pratica è stato spruzzato il virus in forma di aerosol in un ambiente chiuso e hanno scoperto che il virus dimezza la capacità infettiva dopo 66 minuti e che può restare in aria fino a 3 ore. L’esperimento però non è stato effettuato all’aperto ma in laboratorio e in un ambiente chiuso e non utilizzando i droplet emessi da un essere umano, quindi potenzialmente più virulenti. Quindi i dati vanno presi come uno stimolo. E’ un primo esperimento e va validato da altri esperimenti.
Altri esperimenti invece hanno studiato la capacità di permanenza del virus nell’aria dove ha soggiornato un paziente infetto. Lo studio è stato realizzato nell’Università di Singapore ed ha analizzato le camere isolate con 3 pazienti infetti dal 24 gennaio al 4 febbraio. Nonostante i frequenti ricambi d’aria (12 per ora) il virus è stato trovato in diversi posti diversi ed è scomparso solo dopo la pulizia. I risultati nello specifico:
- Stanza del Paziente A: l’analisi è avvenuta DOPO la pulizia di routine. Lo studio della presenza del virus è avvenuta nel giorno 4 e il giorno 10 di malattia quando era già sintomatico: nessun segno del virus. Lo stesso nella stanza del Paziente B (controllo nel giorno 8, sintomatico, e 11, asintomatico), segno che dopo la pulizia il virus muore.
- Stanza del Paziente C: l’analisi è avvenuta PRIMA della pulizia di routine. Il virus è stato trovato in 13 dei 15 siti nella stanza (compresa la ventola dell’aria condizionata) e in 3 dei 5 siti nel bagno (tazza del water, lavandino, maniglia della porta).
Gli stessi ricercatori ammettono che “lo studio ha parecchie limitazioni”, ma qualche indicazione la dà: ad esempio che la trasmissione con le scarpe sarebbe molto basso (nessun segno del virus nel corridoio o sulle scarpe) e che basta una pulizia di routine per uccidere il virus.
DUNQUE, QUANTI METRI?
La ricerca scientifica va avanti e anche se l’OMS continua a suggerire la distanza di un metro è preferibile essere un po’ più larghi nella propria quotidianità, ad esempio allargando la distanza da uno a otto o più metri. E se si sta male, è meglio rimanere a casa e non fare i supereroi. La febbre indica che il corpo sta reagendo contro una infezione e andare a lavoro con 38 e più di febbre è un torto che si fa a se stessi (il sistema immunitario fa più fatica) e agli altri perché si rischia di infettarli.
Al proposito, consiglio la visione di questo video esplicativo di “Business Insider Italia” che spiega molto bene il problema:
Foto principale:James Gathany (https://phil.cdc.gov/details.aspx?pid=11162)
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