Con questo post imparerai… a un nuovo inizio vedendoti dall’esterno per capire qualcosa di te e migliorare gli aspetti che vuoi cambiare.
I social network hanno cambiato il nostro modo di comunicare, ma senza che potessimo accorgercene hanno cambiato anche il nostro modo di pensare. Prima parlavamo in prima persona, oggi parliamo in “terza persona”. Non ci hai fatto caso? Guarda lo stato su Facebook: “Daniele Giudici ha condiviso…”, “A Daniele Giudici piace…” e così via. Come se io avessi un avatar nel mondo virtuale. Come possiamo utilizzare questa novità per un nuovo inizio, per cambiare qualcosa della nostra vita, per ripartire da zero?
NON E’ UN AVATAR, QUELLO SUI SOCIAL E’ IL VERO NOI. SENZA FILTRI
In realtà è così, anzi, nei social c’è una versione forse più pura di noi perché vengono meno i vincoli etici della civiltà, come avviene quando siamo dentro un’automobile: qualcuno ci sorpassa e noi, le persone più educate del mondo, lo mandiamo a quel paese. Idem, sui social una persona può tenere una discussione anche vivace con un altro utente che probabilmente non sarebbe capace di sostenere se ce l’avesse di fronte nella realtà. Gli ormai famosi “leoni da tastiera” nella vita quotidiana sono persone normali, che pagano le bollette e preparano il pranzo. Non si “trasformano” sui social, è che lì tirano fuori quello che normalmente reprimono per i vincoli della civiltà.
E’ un problema? Dipende, perché ogni situazione può essere vissuta come un problema o come un’opportunità e in questo caso la “terza persona” (“Daniele Giudici ha condiviso”) è un espediente utile per un percorso di crescita interiore: ci permette di confrontare la nostra vera personalità con la maschera che ci siamo autocostruiti giorno dopo giorno. Esserne a conoscenza è un ottimo punto di partenza per un nuovo inizio.
CHI SIAMO VERAMENTE?
Vestiamo delle maschere per essere accettati dagli altri e, a seconda, recitiamo il ruolo degli arrabbiati, dei simpatici, dei buoni, dei comprensivi, dei sensibili, dei reazionari e così via. E’ come se indossassimo dei vestiti in base alle occasioni: presentarci in tuta ad una serata di gala significherebbe venir messi da parte dagli altri invitati.
E’ vero però che ogni nostra azione è messa in atto per attirare l’attenzione degli altri, a volte in modo positivo (“sono d’accordo con voi”) e a volte in modo negativo (“faccio il ribelle e vengo attaccato”, ma l’essere attaccato è un modo per essere notato dagli altri).
Il fine ultimo è lo stesso, l’essere notati, perché inconsciamente esistiamo se gli altri ci dicono che esistiamo: un processo invisibile che ci autoconvince giorno dopo giorno fino ad arrivare all’“io sono fatto così”, “se vi sta bene ok altrimenti peggio per voi”, “io non posso cambiare” ecc. con il risultato di prese di posizioni basate sull’orgoglio, sull’identificazione di un ruolo: quel vestito funziona così bene che ci dimentichiamo che è solo un vestito e lo confondiamo con la nostra pelle. Il risultato è che spesso finiamo per sentirci soffocare, in difficoltà, non ci va bene nulla e nessuno, ci sentiamo incompresi, quando in realtà l’incomprensione è ciò che vogliamo perché è un modo per attirare gli altri.
IL PRIMO PASSO: ROMPERE LO SCHEMA E IL MITO DELLA CONDIVISIONE A TUTTI I COSTI
Questo schema si può rompere semplicemente cercando di focalizzare la propria attenzione su se stessi. Io devo comprendermi, io devo stare bene, io devo essere il vero me stesso, e non quello che fa di tutto (in modo attivo o passivo) per attirare le attenzioni degli altri. Sto parlando di un percorso che non si può raggiungere leggendo dei libri o da soli, serve un percorso psicologico realizzato con dei terapeuti specializzati, ma è possibile. E’ come la felicità: spesso per sentirci davvero felici abbiamo bisogno di “convididerla” con gli altri, ma la felicità è uno stato soggettivo e non c’è alcun bisogno di condividere nulla. Lo stesso concetto di condivisione si basa sul bisogno di essere accettati dagli altri: chi non ha questo bisogno e sta bene con se stesso non ha necessità di condividere nulla. Se ho fame, mangio, ma se ho bisogno di stare con un’altra persona per mangiare, forse c’è un problema. Se faccio l’amore con la mia partner e sono “centrato” io mi godo il rapporto, ma se per goderlo ho bisogno di raccontarlo agli amici o di pubblicare le foto e i video sul web, forse c’è un problema.
COME SFRUTTARE LA “TERZA PERSONA”
Pensa bene al tuo avatar, studialo bene, immagina che sia fisicamente accanto a te. Riflettici bene: quanto ti assomiglia? Pensa al suo comportamento sui social, e ora pensa alla tua vita di tutti i giorni: quel chiacchierone che racconta la sua quotidianità su Facebook e parte in discussioni accese sui forum, fa lo stesso quando si trova fisicamente con altre persone? Probabilmente dirai di sì, e ok, va bene.
CAMBIA NOME
Allora prova a cambiare nome. Per un po’ immagina di esserti trasferito in un’altra città e di aver cambiato nome: non sei più “Daniele Giudici” ma sei, ad esempio, “Deva Majnu” (è il nome che mi è stato affidato quando sono diventato un sannyasin). Immagina di acquistare un giornale e di leggere il modo in cui si comporta il Daniele Giudici “originale”: cosa senti? Cosa senti nel profondo? Ti soddisfa? E’ quello che faresti in questa nuova città dove nessuno ti conosce? Prenditi il tempo che vuoi e non devi farlo alla presenza di altre persone, il processo è solo tuo. Ed è un piccolo esperimento, quasi un gioco, è come una finestra su di te. Prova a fare questo esperimento quando, ad esempio, sei arrabbiato: invece di dire “Sono infuriato”, prova a metterti nei panni di “Majnu” che dice “Daniele è arrabbiato”. E’ ancora forte la carica emotiva?
Non è un caso se tutti i grandi mistici abbiano scelto di far cambiare nome ai loro discepoli. Per quale motivo Gesù avrebbe deciso di cambiare nome a Simone? Per lui era l’uomo su cui fondare la sua chiesa dunque simbolicamente Pietro era un nome più adatto, ma era anche un modo per indicare la via: chi diventa cristiano deve sentirsi un uomo nuovo, è un nuovo inizio. Al punto da cambiare nome, perché il nome è la nostra etichetta, è il modo in cui ci presentiamo nel mondo, è ciò che siamo.
Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia», che si traduce Cristo, e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa», che significa Pietro. (Vangelo di Giovanni, 1,35-42)
Probabilmente comunque non sentirai nulla, ti sembrerà di perdere il tuo tempo, o magari sentirai che se tu fossi “Majnu” invece di “Daniele” ti comporteresti allo stesso modo oppure diversamente, è soggettivo. Magari quella situazione che fa infuriare Daniele, non sembra così bollente a “Majnu”. Chissà. E’ solo un gioco, che può farti capire qualcosa del vero te.
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