Con questo post imparerai… uno degli errori da evitare nella scruittura più importanti, ovvero l’abuso delle descrizioni che sono importanti ma possono essere un’arma a doppio taglio.
Trovare il giusto equilibrio in un testo è sempre difficile e uno degli aspetti su cui spesso sbagliano gli aspiranti scrittori è quello di eccedere con le descrizioni che è proprio uno degli errori da evitare nella scrittura. E’ giusto raccontare i dettagli di una scena, di un personaggio, ma quando si esagera si confonde il lettore.
Cosa si intende per “Descrizione”?
In quanti modi si può descrivere un quadro? Si può dire “questo è un quadro” oppure si può descriverlo parlando della cornice, del suo colore, del come viene lavorato il legno che la compone, del tipo di tela, di quanto è porosa la trama, della tecnica usata, del perché è stata scelta proprio quella tra le varie, la descrizione dettagliata dei passaggi, dei colori scelti, la marca dei tubetti di vernice, il perché della prospettiva, la storia di chi lo ha commissionato e dell’artista e così via. Il tutto con un trionfo di aggettivi, di marche, di distrazioni. La domanda è: la descrizione è funzionale al testo per far capire meglio il lettore (ad esempio, il testo è per un libro di storia dell’arte) o è un modo dello scrittore per far vedere quanto sia acculturato (il testo è inserito in un romanzo d’amore) e ricco il suo vocabolario? E’ una espressione narcisistica dello scrittore o è un favore per il lettore?
Cosa si rischia con troppe Descrizioni
Immagina che il tuo lettore stia camminando lungo un sentiero in montagna e la bellezza del paesaggio lo distrae: lascia il percorso per seguire una farfalla che si posa su un fiore dietro cui c’è un cerbiatto che corre verso il suo rifugio e lui, estasiato da tanta bellezza, lo segue. Ad un certo punto si ferma e nota che il sentiero è lontano, anzi, non lo vede più, si è perso. E adesso? Questo è l’effetto di troppe descrizioni.
Un esempio in letteratura è facile da trovare, e si trova in “American Psycho” di Breat Eston Ellis, che è un trionfo di descrizioni approfondite:
“Montgomery viene verso di noi. Indossa un blazer bleu marin con bottoni in finta tartaruga, camicia a righine in cotone crespato, con impunture rosse, cravatta di Hugo Boss in seta stampata, pirotecnica, rossa, bianca e blu, e pantaloni di Lazo color prugna, con quadruplice plissettatura sul davanti e tasche oblique.”
Non sembra uno spot? Il bello è che questo genere di descrizione si trova in ogni riga e riguarda ogni personaggio, ambiente o scena. E’ la caratteristica di questo libro che, però, sarebbe stato magnifico anche senza tutti questi dettagli che non aggiungono nulla: all’inizio ci fanno capire il tipo di ambiente (siamo nella Wall Street degli yuppies anni ‘80) ma a lungo andare si saltano.
Come trovare il punto di equilibrio per le Descrizioni
Dobbiamo trovare un equilibrio. Scrivere che “un cavaliere sporco di fango, con dei graffi rosso vivo sul viso, un profondo strappo sull’uniforme bianca con la croce rossa di sangue e vernice e con una spada incrinata” entra in una “sala dorata illuminata soltanto da una candela la cui luce indecisa si riflette su alcuni gioiello d’oro che danno un’atmosfera mistica alla stanza” ci fa immaginare la scena. Se chiudessi gli occhi potrei immaginarmi facilmente tutta la scena. Se però cominciassi a descrivere ogni singolo aspetto in modo molto più dettagliato (è sporco di sangue perché ha appena atttraversato la palude dove ha dovuto lottare con un coccodrillo, la ferita è rosso fuoco perché se l’è procurata durante una lite in un’osteria, lo strappo sulla tunica è stato causato mentre combatteva durante la Guerra Santa e così via) distoglierei l’attenzione del lettore che alla terza descrizione non avrebbe più modo di immaginarsi nulla perché si sarebbe già perso.
Una tecnica per non esagerare è di limitarsi a massimo due livelli di dettagli (uno: tunica bianca; due: graffio sulla tunica) riservando un terzo o un quarto livello solo in casi rari e quando è strettamente necessario alla trama.
Tu sei la bussola di quel lettore che passeggiava in montagna, sei tu che devi fare in modo che lui si goda il paesaggio senza, però, allontanarsi dal sentiero.
Quando le Descrizioni sono ok
Le descrizioni danno una visione più dettagliata di un personaggio, di un episodio o di un ambiente e infatti nel cinema non si usano perché “vediamo” la situazione, mentre con un testo dobbiamo “immaginarla” grazie alle descrizioni. Ci sono anche quelle che non sono utili ai fini della storia, ma lo sono per accrescere l’empatia, come i piccoli gesti:
“Beppe stava parlando da cinque minuti ormai, ma Alice non lo stava ascoltando e lui se ne era accorto guardando gli angoli della sua bocca: le sue labbra si stringevano come quelle di una papera e le si formavano delle pieghette sui lati ogni volta che lei perdeva la concentrazione”.
Oppure:
“Alice gli stava spiegando il suo punto di vista, la sua versione dei fatti e ogni volta che ripeteva la parola «mia» faceva dei segni con le dita come se volesse mettere delle virgolette. Lo faceva sempre quando voleva rimarcare un concetto”.
Questi particolari sono inutili per la storia, ma per il lettore Alice è quella che fa le fossette ai lati della bocca quando è annoiata e che fa le “virgolette” quando vuole rimarcare un concetto. Empatia.
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